ISRAELE ENTRA NELLA STRISCIA DI GAZA

L’esercito di Israele annuncia un “ampliamento delle operazioni di terra” nella Striscia di Gaza, mentre l’Onu approva una risoluzione per chiedere una tregua umanitaria nell’enclave palestinese.

L’unica certezza è che qualcosa è iniziato. Nella tarda serata di venerdì, a 20 giorni esatti dall’attacco di Hamas contro Israele, le forze dello Stato ebraico hanno avviato quella che, stando alle prime informazioni, sembra la prima fase dell’annunciata offensiva di terra nella Striscia di Gaza. Le notizie disponibili sono poche e frammentarie, complice il “blackout informativo” all’interno dell’enclave palestinese. Da ieri, infatti, la Striscia di Gaza si ritrova completamente isolata, senza internet né servizi di comunicazione con l’esterno. Organizzazioni umanitarie, agenzie ONU e media internazionali hanno fatto sapere di aver perso i contatti con i propri contatti nell’enclave costiera, una situazione che probabilmente rende molto complesse le operazioni di ricerca e soccorso delle vittime all’interno della Striscia stessa. Tra le poche fonti di notizie disponibili ci sono le Forze di difesa israeliane (IDF), che nella serata di ieri hanno confermato una “espansione delle operazioni di terra” nell’area, dopo che nei giorni scorsi alcuni blitz circoscritti di fanteria e corazzati avevano preparato il terreno. Pesanti bombardamenti, che fonti di Al-Arabiya e della BBC descrivono come i più intensi in assoluto dall’inizio della crisi, hanno colpito duramente nel nord della Striscia. Come spiega questa analisi di Francesco Petronella, analista ISPI, l’offensiva di Israele rischia di incrinare il già precario equilibrio a livello regionale: “Quello che si delinea dopo l’offensiva israeliana a Gaza è dunque uno scenario di crisi a cerchi concentrici, più che lo scontro tra due poli definiti, con interessi e geometrie variabili di cui è complicato prevedere gli sviluppi”.

In una dichiarazione diffusa nella mattina di sabato, le IDF hanno affermato che “più di 100 aerei da guerra” hanno colpito durante la notte “150 obiettivi sotterranei nel nord di Gaza”, prendendo di mira tunnel e infrastrutture sotto il livello del terreno e uccidendo “diversi operativi e leader di Hamas”. Tra le persone uccise, spiegano le forze armate israeliane, c’è Asem Abu Rakaba, responsabile delle operazioni aeree di Hamas, che secondo quanto ricostruito dalle autorità dello Stato ebraico aveva preso parte personalmente alla pianificazione degli attacchi del 7 ottobre contro Israele. Ucciso anche Rateb Abu Sahiban, capo dell’unità anfibia di Gaza che il 24 ottobre ha tentato un attacco via mare nel sud di Israele. Oltre ai violenti raid aerei ci sono stati anche lanci di missili e colpi di artiglieria, nell’ovest per mano delle forze navali israeliane, nell’est ad opera dei reparti di terra fuori dalla Striscia. Il dato più rilevante, tuttavia, sta nel fatto che dopo la prima notte di combattimenti, le IDF hanno annunciato che unità di fanteria, del genio militare e numerosi carri armati sono ancora all’interno della Striscia, escludendo per ora che si tratti di un’incursione tattica per “saggiare il terreno”. A riprova di questa informazione, le forze dello Stato ebraico hanno divulgato un filmato in cui si vedono tank israeliani in movimento, illuminati dalla luce del mattino.

Al momento è difficile prevedere quali saranno gli scenari aperti dall’offensiva israeliana a Gaza. L’esclusione della zona dalle comunicazioni aveva impedito alle autorità sanitarie di Gaza di pubblicare il consueto bollettino sulle vittime (l’ultimo è stato divulgato sabato mattina e parla di 7.700 morti). L’emittente qatariota Al-Jazeera ha riferito che i raid israeliani hanno preso di mira anche le vicinanze dell’ospedale Al-Shifa. Nel pomeriggio, le IDF avevano pubblicato un video in cui l’infrastruttura veniva descritta come la “copertura” di uno dei principali centri operativi di Hamas, nascosto a livello sotterraneo. Non sono mancate reazioni nel resto dei Territori palestinesi. Il portale di informazione Middle East Eye riferisce che migliaia di persone in tutta la Cisgiordania si sono riunite nelle piazze centrali di città come Nablus, Tulkarem, Jenin e Tubas, per pregare in occasione del Fajr, la preghiera islamica dell’alba, in solidarietà con la Striscia di Gaza. Un 40enne palestinese, riferisce il ministero della Salute di Ramallah, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco da un colono israeliano vicino Nablus, mentre sette persone – riporta Al-Jazeera – sono state arrestate in un raid militare israeliano nel campo profughi di Jalazone, nei pressi di Ramallah. Come spiega questa analisi di Francesco Petronella, analista ISPI, l’offensiva di Israele rischia di incrinare il già precario equilibrio a livello regionale: “Quello che si delinea dopo l’offensiva israeliana a Gaza è dunque uno scenario di crisi a cerchi concentrici, più che lo scontro tra due poli definiti, con interessi e geometrie variabili di cui è complicato prevedere gli sviluppi“.

Altrettanto significative sono state le reazioni a livello internazionale. Mentre Israele avviava “l’ampliamento delle operazioni” nella Striscia, infatti, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha votato a favore di una proposta di tregua umanitaria nella Striscia di Gaza. La mozione, presentata da una cordata di stati arabi e in particolare dalla Giordania, ha ottenuto 120 voti favorevoli, 14 contrari, e 45 astensioni. Tra la minoranza contraria alla risoluzione spiccano i voti di Israele e degli Stati Uniti, seguiti nel loro diniego da una manciata di paesi come Paraguay, Papua Nuova Guinea, Ungheria e pochi altri. Rispondendo alle prime notizie sull’offensiva in corso, la Casa Bianca ha chiarito che Washington non avrebbe posto “linee rosse” a Israele in questa fase. La risoluzione per la tregua è stata invece appoggiata da Russia, Cina, Brasile e da gran parte dei paesi a maggioranza musulmana. Particolarmente ampio, però, è il fronte degli astenuti, che insieme a paesi come Canada, Australia e India, vede la presenza di molti stati europei. Il fronte euro-atlantico, dunque, si spacca sulla risoluzione, con il voto favorevole alla tregua di Francia, Irlanda, Spagna e Portogallo e l’astensione di Germania, Regno Unito e soprattutto dell’Italia. L’ambasciatore Maurizio Massari, rappresentante permanente d’Italia all’Onu, ha spiegato che l’astensione dal voto è dovuta alla mancanza nella risoluzione di una chiara condanna all’attacco sferrato da Hamas contro Israele il 7 ottobre scorso. Il diplomatico ha fornito questa spiegazione durante il suo intervento al Palazzo di vetro, prima di un voto che continuerà certamente a far discutere.

Tratto da ISPI

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