ISRAELE: PRONTI A ENTRARE A GAZA?

Il premier israeliano Netanyahu: “Ci prepariamo a entrare a Gaza”. Ma sull’offensiva e sulla sua efficacia si moltiplicano interrogativi e dubbi.

“Ci prepariamo all’ingresso a Gaza, non dirò come e quando. Ci sono considerazioni che non sono note al grande pubblico. La data dell’ingresso nella Striscia sarà decisa dal Gabinetto di guerra”. Dopo giorni di attesa e indiscrezioni sulla stampa internazionale, in un discorso alla nazione il premier israeliano Benjamin Netanyahu ribadisce che il rinvio dell’operazione di terra è, appunto, un rinvio ma che l’offensiva ci sarà e che le truppe israeliane si stanno preparando. Secondo il primo ministro, sono due gli obiettivi: “Eliminare Hamas e liberare gli ostaggiTutti quelli che hanno partecipato all’attacco del 7 ottobre saranno uccisi. Sopra o sotto terra, dentro o fuori Gaza”. Il leader israeliano ha anche affermato che le carenze nel sistema di difesa e sicurezza che hanno portato al brutale attacco di Hamas saranno oggetto di esame accurato. Gli uomini armati del gruppo islamico palestinese hanno fatto irruzione nelle comunità del confine meridionale e ucciso 1400 israeliani, per lo più civili. Le truppe israeliane sono intervenute con notevole ritardo e sono passate ore prima che riuscissero a ripristinare il controllo su tutto il territorio. Netanyahu ha detto che anche lui sarà chiamato a rendere conto. “Il fallimento verrà indagato fino in fondo. Tutti dovranno dare delle risposte, anche io. Ma solo dopo la guerra – ha aggiunto il premier – Il mio compito ora è quello di guidare il paese in guerra fino alla vittoria”.

L’invasione di Gaza divide il governo?

Le osservazioni del primo ministro si inseriscono in quello che secondo la stampa locale è un acceso dibattito all’interno del suo gabinetto di guerra riguardo alla strategia da seguire. Nel tentativo di contrastare le voci insistenti di controversie sui piani di invasione, il ministro della difesa Yoav Gallant e il capo di stato maggiore Herzi Halevi, hanno affermato che c’è “completa e reciproca fiducia e una chiara unità di intenti”. Dichiarazioni a parte però, i segnali di dissenso all’interno della coalizione di governo sono numerosi: il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha chiesto che il gabinetto di guerra venga ampliato, accusando Netanyahu e gli altri membri di aver “sottovalutato” Hamas nel periodo precedente all’assalto del 7 ottobre. E altri, oltre a dubitare che l’offensiva possa portare i frutti sperati, temono che l’esecutivo non abbia fatto i conti con il passo successivo a quello dell’invasione: in altre parole che non ci sia una strategia chiara sul ‘dopo’. Alcuni ministri hanno presentato piani per la creazione di estese zone cuscinetto all’interno di Gaza e un “completo disimpegno” di Israele dal territorio. Ma nessun consenso sarebbe ancora stato ancora raggiunto, mentre diverse persone vicine al gabinetto di guerra descrivono discussioni frenetiche per stabilire obiettivi, sviluppare scenari realistici e concordarli con la leadership militare e civile.

Il dilemma degli ostaggi?    

Gli Stati Uniti avrebbero chiesto a Israele di ritardare l’invasione di terra in modo da poter sviluppare meglio i suoi piani militari, consentire l’arrivo degli aiuti umanitari a Gaza e cercare di far uscire il maggior numero possibile degli oltre 200 ostaggi rapiti da Hamas il 7 ottobre. Si ritiene che tra loro ci siano almeno dieci cittadini americani. Negli ultimi giorni Hamas ne ha rilasciati quattro, nell’ambito di un negoziato in cui gli americani avrebbero chiesto al movimento di dar prova della loro serietà. Washington sta anche cercando di far uscire i cittadini stranieri intrappolati a Gaza attraverso Rafah, l’unico valico di frontiera del territorio con l’Egitto. Il timore – negli Stati Uniti e non solo – è che un’offensiva di terra faccia saltare ogni possibile trattativa per il rilascio dei civili detenuti dalle milizie palestinesi. David Meidan, coordinatore per i negoziati che portarono al rilascio di Gilad Shalit del 2011, ha detto in un’intervista a Haaretzche Hamas “sembra avere interesse a liberare le donne, i bambini e gli anziani”. Ma ha aggiunto che “la finestra di opportunità rimasta per raggiungere un accordo si sta per chiudere. Dobbiamo concluderlo entro una settimana.

Non da ultimo, a frenare l’invasione di terra, c’è quello che più che un rischio è una certezza: l’ingresso delle truppe di terra in una zona con la più alta densità abitativa al mondo significherebbe un massacro di civili palestinesi senza precedenti. Poiché l’infrastruttura militare di Hamas è dissimulata nelle aree civili e i suoi 30 forse 40mila combattenti si nascondono tra la popolazione, qualsiasi tentativo di distruggere il movimento islamista dovrebbe essere condotto strada per strada e casa per casa, in mezzo a una popolazione particolarmente ostile e contro un nemico altamente motivato che si prepara da tempo a questa battaglia sul proprio territorio. Gli ostaggi rilasciati nei giorni scorsi lo hanno confermato, raccontando di essere stati condotti all’interno di tunnel scavati sotto terra “intricati come ragnatele”. La battaglia urbana – riferiscono gli esperti militari – potrebbe rivelarsi tatticamente più complessa e più costosa in termini di vittime militari israeliane di quanto lo sia stata Fallujah per gli Stati Uniti. La morte e la sofferenza di civili innocenti radicalizzeranno a loro volta molti più palestinesi a Gaza e altrove, aumentando il sostegno ad Hamas e moltiplicando la minaccia per Israele. I disordini potrebbero coinvolgere Cisgiordania, Egitto e Giordania, destabilizzando potenzialmente l’intera regione con ritorsioni da parte di Hezbollah in Libano o persino dall’Iran. “Israele ha un diritto sovrano e inalienabile alla sicurezza – osserva il politologo Ian Bremmer – Ma un’invasione di terra a Gaza non raggiunge questo obiettivo; fa il contrario, facendo il gioco dei nemici di Israele e minando la stabilità regionale senza risolvere sostanzialmente nessuno dei dilemmi strategici di Israele. 

Tratto da ISPI

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