IL GIORNO CHE CAMBIÒ ISRAELE

L’attacco di Hamas segna uno spartiacque nel conflitto israelo-palestinese, ma il fallimento prima ancora che della sicurezza è politico.

Nel terzo giorno dall’inizio dell’attacco armato di Hamas, l’emergenza in Israele non è ancora rientrata, il territorio non è ancora stato del tutto bonificato dalla presenza di miliziani palestinesi armati e la conta delle vittime, civili e militari, e delle persone sequestrate è tuttora in aggiornamento. Ma mentre il paese cerca di riprendersi dallo shock di un’aggressione inimmaginabile, per portata ed efferatezza contro dei civili inermi, le domande si affollano: cos’è successo e come è stata possibile una così gigantesca débacle 

dell’intelligence, dell’esercito e di tutti gli apparati di sicurezza di uno dei paesi più militarizzati e sorvegliati al mondo? Dove sono stati portati gli ostaggi e cosa ne sarà di loro? Hamas ha avuto il sostegno dell’Iran e di altri nemici di Israele? Cosa succederà domani e dopo e quale sarà la risposta del premier Benjamin Netanyahu e del suo governo? Al momento il bilancio, raggelante, è di 800 morti e duemila feriti, e più di 100 ostaggi catturati e portati nella Striscia di Gaza. Mai visto nulla di simile in 75 anni. L’offensiva, via terra, mare e cielo lanciata dai miliziani islamisti, è un colpo al cuore al mito dell’inviolabilità dello Stato ebraico le cui conseguenze – anche psicologiche – si trascineranno per anni. E che segna uno spartiacque: nella storia del conflitto israelo-palestinese, ci sarà un prima e un dopo il 7 ottobre 2023.

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