STRISCIA DI GAZA: GUERRA E FAME

Strage di civili a una distribuzione di aiuti a Gaza. Per Borrell “carneficina inaccettabile”, ma Israele nega e Haaretz esorta Netanyahu: “Fermarsi prima che Gaza diventi un’altra Somalia”.

Almeno 110 morti e almeno 760 feriti secondo il ministero della Sanità palestinese: così, all’alba di ieri, una distribuzione di aiuti alimentari a Gaza si è trasformata in un bagno di sangue. È successo a sud-ovest di Gaza City lungo la strada costiera, nella parte settentrionale della Striscia, quando secondo fonti palestinesi l’esercito israeliano ha aperto il fuoco sulla folla affamata, assiepata intorno ad un camion di aiuti umanitari. Ma la dinamica di quello che la stampa internazionale ha ribattezzato ‘il massacro della farina’ , è stata contestata da Israele secondo cui le vittime sono state causate dalla baraonda, quando alcune persone sono state travolte dai camion, altre dalla gente che cercava di montare a bordo o di sfuggire alla calca. Il portavoce del governo israeliano, Avi Hyman, ha parlato di una “tragedia” e ha affermato che i militari hanno aperto il fuoco “in aria” per disperdere le persone che stavano assaltando gli aiuti. Una versione smentita dalla direzione dell’ospedale locale Al Awda, secondo cui la maggior parte delle vittime riportava ferite di arma da fuoco. Le immagini della folla raggiunta dagli spari mentre cerca di afferrare qualche sacco di farina, in una zona dell’enclave dove gli aiuti non arrivano ormai da settimane, hanno fatto il giro del web sollevando l’indignazione internazionale. Il capo della diplomazia UE Josep Borrell ha parlato di “carneficina inaccettabile”, mentre le Nazioni Unite “sconvolte dal tragico bilancio umano” hanno chiesto un’indagine indipendente sull’accaduto. Intanto, l’Unione europea ha annunciato che aumenterà il sostegno di emergenza ai palestinesi di 68 milioni di euro nel 2024, versando una “prima tranche” di 50 milioni di euro all’Unrwa mentre continua l’indagine sul presunto coinvolgimento di 12 dipendenti dell’organizzazione, accusati da Israele di aver partecipato all’attacco di Hamas del 7 ottobre.

Sfuma l’ipotesi di tregua?

Anche se gli Stati Uniti si sono detti ‘preoccupati’, Washington ha opposto il veto a una dichiarazione riguardo quanto avvenuto a Gaza al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. La bozza al vaglio esprimeva “profonda preoccupazione per le notizie secondo cui oltre 100 persone hanno perso la vita dopo che le forze israeliane hanno aperto il fuoco mentre la folla aspettava aiuti alimentari a sud-ovest della città di Gaza”, e sottolineava “la necessità di adottare tutte le misure necessarie per proteggere i civili e le infrastrutture civili”. “Non abbiamo notizia di tutti i fatti sul campo e le circostanze dell’accaduto vanno chiarite”, ha spiegato il viceambasciatore statunitense Robert Wood. La Casa Bianca afferma che l’incidente dimostra “la necessità di garantire un accordo di cessate il fuoco e tuttavia ammette che il raggiungimento di una tregua entro lunedì, come precedentemente annunciato dal presidente Joe Biden sia ormai improbabile. Nonostante il numero delle vittime palestinesi in meno di cinque mesi di conflitto abbia superato quota 30mila, con oltre 70mila feriti, gli Stati Uniti non sembrano vacillare nel sostegno a Israele. Oggi in un’audizione al Congresso, il segretario alla Difesa statunitense Lloyd Austin ha dichiarato che Washington ha fornito a Israele 21mila missili di precisione dall’inizio della guerra. Austin ha aggiunto di aver parlato ieri sera con il suo omologo israeliano Yoav Gallant, e di aver detto: “Mi aspetto, quando forniamo munizioni ad alleati e partner, che loro le usino in modo responsabile”.

Chi distribuiva gli aiuti?

Indipendentemente dalla dinamica dei fatti, quello verificatosi di ieri a Gaza è stato un massacro annunciato. È dall’inizio di gennaio, infatti, che le organizzazioni umanitarie mettono in guardia dal caos che l’esercito israeliano, bloccando i convogli umanitari, sta causando nell’enclave assediata. Inoltre – come confermato dal commissario generale di Unrwa, Philippe Lazzarini – la distribuzione di aiuti nel corso della quale si è verificata la strage non era stata coordinata con le agenzie delle Nazioni Unite che forniscono la maggior parte dell’assistenza a Gaza. Secondo il quotidiano Le Monde, il camion faceva parte di un convoglio di 38 veicoli arrivati dall’Egitto, attraverso il terminal israeliano Kerem Shalom e il loro carico doveva essere distribuito “da appaltatori privati” di cui le autorità israeliane non hanno voluto rivelare i nomi. Fonti anonime hanno riferito al quotidiano francese che sui camion e gli aiuti non c’era alcun coordinamento di sicurezza e che la polizia si rifiuta di scortare i convogli per paura di essere presa di mira dagli israeliani. È accaduto più volte nei mesi di gennaio e febbraio con il risultato che i funzionari di polizia, considerata da Israele legata a Hamas, hanno smesso di scortare i convogli di aiuti – riferisce il Washington Post – paralizzando di fatto anche le poche consegne che avvenivano nell’enclave.

Gaza come la Somalia?

Così, mentre le preoccupazioni di molti si concentrano su Rafah e sulla possibile offensiva che il governo di Benjamin Netanyahu minaccia di sferrare sulla città al confine con l’Egitto, nel nord della Striscia si muore di fame. Secondo il ministero della Sanità almeno dieci neonati sono deceduti per malnutrizione negli ultimi giorni, mentre un quarto della popolazione è prossima alla fame, e il 15% dei bambini sotto i due anni soffre di “malnutrizione severa”. “Se non cambia nulla, la carestia è imminente” avverte il Programma alimentare mondiale (WFP). “Le soluzioni sono note – sottolinea Lazzarini – e sono politiche: si tratta di smettere di bloccare gli aiuti al porto di Ashdod e consentire il passaggio dei convogli da un valico nel nord dell’enclave”. Un appello alla cessazione immediata delle operazioni militari a Gaza e al raggiungimento di un accordo con Hamas per lo scambio di prigionieri è stato lanciato oggi dall’autorevole quotidiano israeliano Haaretz. In un editoriale, il giornale auspica un’indagine approfondita e indipendente per determinare se, mentre venivano distribuiti cibo e aiuti umanitari, “dozzine di civili siano stati uccisi dalle forze di difesa israeliane, come sostengono i palestinesi, o morti calpestati mentre correvano verso i camion degli aiuti, come sostiene il portavoce dell’IDF”. Ma anche prima di accertare le responsabilità, prosegue, “quelle morti evitabili dimostrano il livello di anarchia che l’occupazione israeliana ha creato in quell’area” e che “prima che Gaza diventi una nuova Somalia occorre riportare a casa gli ostaggi, consentire all’esercito di recuperare forze, iniziare a indagare sui fallimenti che hanno portato al 7 ottobre e riportare gli sfollati sia al sud che al nord. Questo – conclude il quotidiano in aperta opposizione con il governo Netanyahu – è il momento di fermarsi”.

Tratto da ISPI

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