VON DER LEYEN VUOLE IL BIS

L’attuale presidente si ricandida alla guida della Commissione Europea e per vincere punta su difesa e competitività. Ma un suo secondo mandato non è così scontato.

Ursula von der Leyen rompe gli indugi e annuncia l’intenzione di candidarsi per un secondo mandato alla guida della Commissione europea. L’attuale presidente, 65 anni, ha annunciato la ricandidatura durante una riunione del partito dell’Unione dei Cristiano-Democratici (Cdu) a Berlino e in vista delle elezioni europee previste dal 6 al 9 giugno . Ora dovrà essere formalmente nominata come candidato principale al congresso elettorale del Partito popolare europeo (Ppe) a Bucarest, in Romania, il 6 e 7 marzo. Ma se la sua nomina come capolista (Spitzenkandidat) per i Popolari appare scontata, la sua conferma per un secondo mandato non lo è affatto . A meno di grosse sorprese, Von der Leyen dovrebbe ottenere il sostegno della maggioranza qualificata dei leader europei: con l’eccezione dell’ungherese Viktor Orbán, pochi tra i 27 potrebbero opporsi. Alcuni l’hanno già appoggiata per un secondo mandato, e quasi tutti la apprezzano o la rispettano, ma al Parlamento UE le cose potrebbero farsi più complicate . La sua rielezione dipenderà dalla percentuale di voti che il Ppe otterrà nelle elezioni: ciononostante resta la favorita per presiedere la Commissione europea per altri cinque anni.

Con il secondo anniversario della guerra in Ucraina che incombe e l’ombra di Donald Trump sulla Casa Bianca, se c’è un tema su cui l’Europa dovrà puntare è quello della Difesa comune. Non è un caso che, intervenendo a margine della Conferenza per la sicurezza di Monaco in corso nel fine settimana, la presidente ha detto che se verrà riconfermata istituirà un commissario UE alla Difesa: “Sì, se sarò il prossimo presidente della Commissione istituirò un commissario per la Difesa. Penso sia ragionevole”, ha detto Von der Leyen rispondendo a una domanda, e ha aggiunto: “Da dove proverrà rimane una questione aperta, ma naturalmente penso sia molto importante per i paesi dell’Europa centrale e orientale avere buoni portafogli e questo è un buon portafoglio”. La Difesa, tuttavia, non rientra nelle competenze dell’esecutivo di Bruxelles, per questo motivo la Commissione si concentrerà in particolare sulle capacità industriali nel settore. In un’intervista al Financial Times della scorsa settimana Von der Leyen lo aveva chiarito, anticipando la richiesta di un maggiore sostegno finanziario ai produttori europei di armi attraverso sussidi e accordi che garantiscano acquisti di prodotti a lungo termine. La strategia, modellata su quella approntata per la produzione di vaccini Covid-19 durante la pandemia, mira ad aumentare la produzionel’efficienza e il consolidamento nel settore della difesa del continente.

Nella prossima legislatura, il sostegno alla produzione europea non riguarderà solo la Difesa, ma dovrebbe estendersi a tutti i settori, dalle automobili elettriche alle telecomunicazioni. I numeri parlano chiaro: la crescita dell’Unione è in affanno e non solo rispetto a quella statunitense. Il prodotto interno lordo pro capite degli Stati Uniti è più del doppio di quello dei 27 e il divario è in aumento. L’Europa è in ritardo sulle nuove tecnologie e nella capacità produttiva di semiconduttori mentre i problemi strutturali che minano l’efficacia del mercato unico sono stati ostacolati da anni di crisi. La pandemia prima e la guerra della Russia contro l’Ucraina poi, hanno fatto aumentare i prezzi e i costi dell’energia. Le pressioni demografiche e le difficoltà legate all’istruzione hanno creato una carenza di manodopera qualificata . E intanto gli oneri burocratici – secondo piccole e medie imprese – comprimono il potenziale di crescita. Per questo Von der Leyen ha chiesto all’ex primo ministro italiano e già presidente della Banca centrale europea Mario Draghi di scrivere un rapporto sullo stato della competitività dell’UE e fornire delle proposte per migliorarla e rafforzare il mercato unico.

Tra alti e bassi, la prima donna a capo della Commissione ha traghettato il blocco attraverso una pandemia mondiale e il primo grande conflitto sul suolo europeo da decenni. Su sua spinta, lo scorso dicembre, i 27 hanno deciso di aprire ai negoziati di adesione con Kiev. La sua leadership dal pugno di ferro l’ha talvolta messa in contrasto con le capitali dell’UE, mentre su una serie di argomenti delicati, dal sostegno a Israele alla politica verso la Cina, ha preso decisioni senza consultare gli Stati membri, scatenando l’ira dei diplomatici e dei suoi stessi commissari. Nel 2019, si insediò a sorpresa con il sostegno di una maggioranza che prese il suo nome, “Ursula”, e che riuniva tutti i sedicenti partiti europeisti dell’UE: il Partito popolare europeo conservatore, i socialisti e il gruppo liberale Renew. Se cinque anni fa bastò a fruttale una risicata maggioranza: 383 voti, leggermente al di sopra del minimo di 374, non è detto che oggi, con l’estrema destra in ascesa riesca a ripetere quella vittoria. Il rischio, dietro l’angolo, è quello dell’ingovernabilità. Anche per questo, al di là del suo atlantismo di ferro, non è una sorpresa che la sua ricandidatura sia sostenuta dall’altra sponda dell’Atlantico: “Chi devo chiamare se voglio chiamare l’Europa?” scrive oggi il NewYork Times – “La risposta alla famosa domanda – attribuita a Henry Kissinger, ma  probabilmente apocrifa – è stata più facile che mai negli ultimi quattro anni: chiami Ursula von der Leyen”.

Tratto da ISPI

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