UCRAINA: SI PUÒ ANCORA VINCERE?

A quasi due anni dall’inizio della guerra, le speranze di una vittoria di Kiev sembrano affievolirsi, a causa delle paralisi e incertezze degli alleati che rischiano di consegnare alla Russia un vantaggio irrecuperabile.

Mentre l’anniversario di due anni dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina si avvicina, è difficile ignorare il fatto che le speranze di una vittoria di Kiev su Mosca si stiano pian piano smorzando. In un contesto di crescente stanchezza internazionale per il protrarsi del conflitto e di paralisi dei nuovi finanziamenti per Kiev, le forze armate ucraine, sempre più esauste come dimostrano le numerose richieste di smobilitazione, sembrano concentrarsi più sulla difesa delle proprie posizioni che sulla riconquista di territori in mano alla Russia. Al momento, il Cremlino controlla circa un quinto del suolo dell’Ucraina, compresa la Crimea, annessa illegalmente nel 2014, e ampie zone del sud-est a Donetsk, Luhansk, Zaporizhzhia, e nella regione di Kherson. La riluttanza dell’Occidente nel rifornire Kiev di armamenti e missili a lunga gittata col timore di innescare un’escalation, dimostrandosi al contempo incapace di sopportare il peso di una guerra prolungata, potrebbero determinare le sorti del conflitto. E mentre lo stallo al Congresso degli Stati Uniti sul nuovo pacchetto di aiuti mina l’obiettivo dichiarato da Volodymyr Zelensky di voler cacciare le truppe russe entro ottobre, Vladimir Putin sembra pensare che la vittoria sia ormai a portata di mano.

I malumori che questa situazione determina a Kiev si riflettono in una lotta ai vertici – più o meno dichiarata – in corso ormai da settimane. I protagonisti sono il presidente Volodymyr Zelensky e il suo più alto comandante militare in campo, il generale Valerii Zaluzhny. Le tensioni tra i due, rimaste latenti per settimane e seguite al fallimento della controffensiva ucraina, sarebbero esplose lunedì quando alla richiesta di dimettersi presentata dal presidente, il generale – stimatissimo e rispettato dagli alti comandi militari – avrebbe opposto un rifiuto, costringendo Zelensky a licenziarlo, chiedendogli di lasciare il paese. La notizia, trapelata sui social media, ha creato un tale clamore che l’ufficio del presidente è stato costretto a rilasciare una smentita pubblica, i cui toni bruschi però hanno di fatto alimentato le indiscrezioni e l’incertezza sul fatto che gli ordini emessi da Zaluzhny siano sostenuti dal presidente, minando la fiducia nell’intera catena di comando. Quel che è peggio, secondo diverse fonti ucraine, è che la disputa tra il presidente e il suo generale sarebbe di natura politica. Zaluzhny è infatti il personaggio pubblico più popolare del paese, persino più popolare del presidente secondo diversi sondaggi, e licenziarlo sarebbe visto da alcuni come una mossa intesa a sminuire un potenziale avversario in vista delle prossime elezioni, attualmente sospese sotto la legge marziale.

Le tensioni ai vertici dell’Ucraina arrivano in un momento particolarmente difficile per le sue forze armate sulla linea del fronte: i russi mantengono la pressione intorno alla città orientale di Avdiivka, mentre avanzano lentamente nella parte orientale del paese, soprattutto negli oblast di Luhansk, Donetsk e Kharkiv. Mentre all’intensificarsi degli attacchi russi sul campo di battaglia corrisponde un’escalation di retorica e propaganda russa volta a minare l’idea che Mosca sia isolata a livello internazionale. La convinzione di essersi dimostrata più resiliente, militarmente ed economicamente, di quanto previsto dall’Occidente, osserva il Washington Post, ha consolidato la posizione di Putin in vista delle elezioni presidenziali di marzo, in particolare “con alcuni membri dell’élite russa inizialmente scettici sulla guerra […] e che ora descrivono la rottura della Russia con l’Occidente come un punto di svolta per riformare i modelli economici globali”. In un comunicato diffuso il 1° gennaio scorso, inaugurando l’anno di presidenza russa dei Brics, il Cremlino si è definito parte di una “maggioranza globale” rivendicando l’aumento delle relazioni commerciali con la Cina, la cooperazione militare con l’Iran, il coinvolgimento diplomatico nel mondo arabo e in Africa e l’espansione del gruppo che riunisce le principali economie emergenti.

Il vero dramma per l’Ucraina, però, non si consuma né nei corridoi della politica di Kiev né sul palcoscenico  internazionale, ma a Washington. Gli americani sono sempre più divisi sulla guerra e molti legislatori repubblicani si oppongono attivamente a maggiori aiuti. Anche se il Congresso approverà ulteriori aiuti militari per il 2024, questo sarà probabilmente l’ultimo stanziamento significativo che Kiev riceverà da Washington. Il mantra sul sostegno all’Ucraina per “tutto il tempo necessario” si è trasformato in “finché si potrà”. E guardando alle elezioni di novembre negli Stati Uniti, gli analisti sono convinti che Putin scommetta su un ritorno alla Casa Bianca dell’ex presidente Donald Trump, che potrebbe ridurre il sostegno all’Ucraina e mostrare maggior comprensione per le ‘preoccupazioni’ del Cremlino in materia di sicurezza nell’Europa orientale. E il presidente russo potrebbe non dover nemmeno aspettare fino a novembre: molti repubblicani desiderano allinearsi al desiderio egoistico di Donald Trump di impedire un accordo con i Democratici che potrebbe migliorare la crisi migratoria al confine meridionale. In altre parole, come sostiene Anne Applebaum su The Atlantic, c’è il rischio concreto che il Congresso Usa abbandoni l’Ucraina. Sarebbe un errore dalle conseguenze fatali, osserva il generale Richard Barrons, ex comandante del Joint Forces Command dell’esercito britannico: “Putin crede che se sarà abbastanza testardo per un periodo sufficientemente lungo, il debole Occidente, se ne andrà – e potrebbe avere ragione. Non sarà solo vergognoso. Sarà un atto di autolesionismo strategico”.

Tratto da ISPI

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