L’ARGENTINA IN PIAZZA CONTRO MILEI

Sciopero generale a Buenos Aires contro il presidente e le sue misure ultraliberiste per rilanciare l’economia argentina.

I lavoratori argentini sono scesi in piazza per il primo sciopero generale dall’insediamento del presidente Javier Milei avvenuto un mese e mezzo fa, paralizzando per diverse ore il centro di Buenos Aires. La mobilitazione era stata indetta dalla Confederazione Generale del Lavoro (CGT), il più grande sindacato del paese, per protestare contro le misure di austerity radicale varate dal governo per risollevare l’economia argentina. Una “terapia d’urto”, come l’ha definita il neoeletto presidente ,  ma che a suo avviso è assolutamente necessaria per stabilizzare l’economia argentina, stretta tra iperinflazione e un altissimo debito pubblico. Al punto che nel suo discorso di insediamento, Milei aveva avvertito gli argentini che la crisi avrebbe richiesto misure shock e che la situazione sarebbe peggiorata prima di migliorare. Ieri, in vista dello sciopero, erano state mobilitati centinaia di agenti di polizia, anche per via del nuovo “protocollo” introdotto dall’esecutivo che estende i poteri della polizia allo scopo di mantenere l’ordine pubblico. Ma a parte qualche disordine, quando i manifestanti in corteo sono arrivati vicino al Congresso, non sono stati segnalati grossi incidenti.

Milei si pone come ambizioso obiettivo quello di azzerare il disavanzo dell’Argentina nell’arco di un anno, attraverso tagli alla spesa, privatizzazioni e il ripristino di tasse sul reddito e sul commercio estero. Appena entrato in carica, ha svalutato il peso, la moneta nazionale, del 54%, accelerando i già altissimi tassi di inflazione. Secondo l’Istituto nazionale di statistica e censimento (INDEC), nel 2023 l’Argentina ha registrato l’aumento dell’inflazione più rapido dal 1990, chiudendo l’anno con un’inflazione annua del 211,4%, un tasso superiore a quello del Venezuela e il più elevato dell’America Latina. La conseguenza immediata delle misure introdotte è stata un crollo dei salari e del potere d’acquisto e un’impennata dei costi di importazione e quindi dei prezzi di beni e servizi. A dicembre, un “mega-decreto” presidenziale ha aperto la strada alla privatizzazione delle aziende statali e un altro ha tagliato 5mila posti di lavoro nel settore pubblico. E ci sono ulteriori novità in arrivo: riguardano la cosiddetta “legge omnibus” – un enorme pacchetto di riforme, originariamente composto da 664 articoli oggi ridotti a circa 500 – che introduce cambiamenti radicali in materia economica, fiscale, sociale e amministrativa. Tra le norme più contestate prevede dure restrizioni alle proteste, anche attraverso pene fino a sei anni di carcere e ampi poteri legislativi al governo per un periodo di “emergenza” della durata di un anno.

Il presidente e l’esecutivo hanno respinto lo sciopero, definendolo espressione di un modo di pensare arretrato. “Ci sono due Argentine – ha detto Milei – e c’è chi vuole restare indietro, nel passato, nella decadenza”. Ma se il braccio di ferro con i sindacati e ampie fasce della società non sembra preoccupare troppo il presidente, il governo potrebbe incontrare altre difficoltà a far approvare le riforme. La formazione di Milei, La libertad avanza, infatti, è solo la terza forza in parlamento e per governare ha goduto fino ad oggi dell’appoggio esterno della coalizione di centrodestra Juntos por el Cambio, di cui fanno parte anche alcuni ministri, ma al cui interno non tutti sono d’accordo con le proposte più estreme. Nonostante le critiche e gli scioperi di queste settimane, tuttavia, Milei continua a godere di un ampio sostegno tra gli argentini e le rilevazioni recenti mostrano che oltre la metà degli intervistati ritiene che le sue riforme siano necessarie per migliorare lo stato dell’economia. Quello che in molti si chiedono, arrivati a questo punto, è se pima o poi il governo deciderà di negoziare: “Se dovesse andare allo scontro, o tutto o niente, la situazione sarebbe più complicata perché il governo non ha il pieno sostegno legislativo, si è scagliato contro molti attori e c’è molta rabbia sociale”, osserva Juan Negri, direttore del corso di Scienze Politiche all’Università Di Tella, secondo cui “lo scenario peggiore per il governo sarebbe ritrovarsi ad aprile senza buone notizie da dare al paese, impopolare, in minoranza al Congresso e con i manifestanti per le strade”.

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