Accordi di Abramo: battuta di arresto?

La crisi Israele-Gaza potrebbe rallentare la normalizzazione dei rapporti politici ed economici con i Paesi arabi e alcuni grandi progetti. Ecco quali.

“Non mischiamo il commercio con la politicaha dichiarato il ministro del Commercio degli Emirati Arabi Uniti (EAU) dopo lo scoppio della guerra fra Hamas e Israele: un primo segnale del noto pragmatismo emiratino. Il conflitto, che si preannuncia lungo, metterà comunque a dura prova la normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Emirati Arabi, Bahrein e Israele, sancita dagli “Accordi di Abramo” del 2020. E rallenterà, nella migliore delle ipotesi, la normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele . Ma a tre anni dalla firma, qual è il bilancio economico degli Accordi di Abramo? E quali sono le opportunità strategiche di business che l’Arabia Saudita rischia di perdere qualora Riyadh scegliesse di congelare i negoziati? 

Oltre il Medio Oriente: I2U2 e Africa

Innanzitutto, il potenziale economico della cooperazione tra Emirati e Israele beneficia del loro posizionamento geografico: i due Paesi sono vicinissimi ai choke-points di Hormuz e Suez e attribuiscono pertanto grande valore alla sicurezza marittima nel quadrante, Mar Rosso compreso. Dal 2022, gli Emirati Arabi e Israele partecipano poi al formato mini-laterale I2U2, ovvero il Quad dell’Asia Occidentale con India e Stati Uniti, con al centro energia, infrastrutture, commercio e sicurezza alimentare: la dimostrazione che gli Accordi di Abramo hanno permesso sinergie transregionali nel segno della connettività. Non a caso, la cooperazione con gli Emirati ha consentito a Israele di tornare a guardare ai mercati africani al di là di Sudan e Marocco (anch’essi firmatari della normalizzazione con Tel Aviv), disegnando con gli emiratini possibili joint ventures in Africa nel settore agricolo e digitale, con attenzione all’Africa orientale (Uganda, Kenya), ma anche occidentale (Senegal, Costa d’Avorio, Ghana).   

Per gli Emirati Arabi, il bilancio economico della normalizzazione con Israele è positivo. Nel 2022, l’interscambio commerciale non-oil tra la federazione emiratina e lo Stato israeliano ha raggiunto i 2,5 miliardi di dollari. Emirati Arabi e Israele sono due paesi export-oriented, che condividono interesse ed expertise in settori come energia e infrastrutture, tecnologia (AI, cybersecurity, trasformazione digitale) e innovazione, anche applicate all’agricoltura e alla difesa. Dal 2020, i governi si sono subito attivati per facilitare scambi commerciali e cooperazione fra imprese: Emirati Arabi e Israele hanno firmato un’intesa per l’esenzione dei visti, mentre l’accordo di libero scambio (Comprehensive Economic Partnership Agremeent-CEPA, siglato nel 2022 e in vigore dall’aprile 2023), ha eliminato circa il 96% delle tariffe doganali sui beni commerciati.

Energia e infrastrutture: progetti e frenate

Il nesso tra energia e infrastrutture è concreto, anche se alcuni progetti si rivelano complicati. Tramite Israele, gli Emirati possono affacciarsi sul Mediterraneo Orientale: nel 2021, il fondo sovrano Mubadala ha acquisito il 22% del campo gasifero offshore israeliano di Tamar, per un investimento di un miliardo di dollari. Poi c’è il progetto del 2020 tra la Med-Red Land Bridge, joint venture israeliana-emiratina e la Europe-Asia-Pipeline Company, compagnia governativa di Israele: dovrebbe esportare il petrolio emiratino dal porto israeliano di Eilat via pipeline fino ad Ashkelon e da lì verso l’Europa. Un obiettivo già rallentato, forse addirittura bloccato, dalle proteste e dai ricorsi legali degli attivisti per l’ambiente in Israele, preoccupati per il possibile danneggiamento della barriera corallina. 

Gli Emirati stanno poi investendo nei porti israeliani, a cominciare da Eilat nel Mar Rosso e Haifa nel Mediterraneo (anche se DP World non ha poi partecipato alla privatizzazione di quest’ultimo, concessione vinta dall’indiana Adani Group), per trasformarli in snodi tra Europa e Golfo. Attraverso gli Emirati, Israele può invece accedere ai mercati dell’Asia, grazie all’hub infrastrutturale di Dubai, fondamentale anche per re-export e transhipment, oltreché per le tante zone di libero scambio presenti nella federazione degli EAU. Per esempio, adesso sono 97 le compagnie israeliane attive nella free trade zone di Dubai, con un incremento del 25% nel periodo gennaio-maggio 2023. E poi vi sono i numerosi investimenti in energie rinnovabili con in prima linea l’emiratina Masdar, il ramo green di Mubadala.

Il boom dell’industria della difesa

Tra Emirati e Israele, la cooperazione tra industrie della difesa è subito cresciuta, divenendo uno dei settori di collaborazione più vivaci. Lo sottolinea la notevole presenza di compagnie israeliane alle tante fiere della difesa organizzate negli Emirati (oltre 60 imprese di Israele nel 2023 all’International Defense Expo-IDEX di Abu Dhabi) e in Bahrein (Bahrain International Airshow), nonché l’apertura, nel febbraio 2023, di un ufficio della Rafael Advanced Defense Systems, ovvero il campione dell’industria della difesa israeliana, ad Abu Dhabi.

Nel 2021, EDGE Group, il conglomerato di compagnie statali e private emiratine operanti nella difesa, e Israel Aerospace Industries (IAI) hanno siglato due memorandum importanti. Il primo documento riguarda lo sviluppo congiunto di un sistema avanzato per intercettare droni (C-UAS counter-unmanned aircraft system), pensato per gli Emirati e per il Medio Oriente; la seconda intesa è invece per realizzare insieme navi senza pilota di 17 metri (USVs unmanned surface vessels), per usi commerciali e militari, utili anche per la sorveglianza e  il pattugliamento costiero e marittimo. Nel 2021, Group 42, ovvero una compagnia tecnologica di big data basata ad Abu Dhabi e presieduta da Sheikh Tahnoun bin Zayed Al Nahyan, consigliere per la Sicurezza nazionale del presidente emiratino (nonché suo fratello), ha poi aperto un ufficio in Israele.

Bahrein-Israele: poca economia, molta difesa.

Invece, tra Bahrein e Israele il business procede più lento. Nel biennio 2021-22, l’interscambio commerciale fra i due Paesi è stato di soli 20 milioni di dollari e poche migliaia di turisti israeliani si sono recati a Manama. Dati che devono tenere conto delle differenze tra Bahrein ed Emirati (per esempio il piccolo regno degli Al Khalifa non è un hub commerciale né aeroportuale), ma che danno il senso dei limitati traguardi economici fin qui raggiunti dalla cooperazione bilaterale. Proprio con l’obiettivo di stimolare affari e turismo, l’ambasciatore israeliano in Bahrein ha capeggiato nel settembre 2023 una delegazione di compagnie israeliane di high tech, logistica e real estate in visita nel regno.  

Sul fronte della cooperazione nella difesa, Bahrein e Israele corrono decisamente di più. Dopo gli Accordi di Abramo del 2020, il Bahrein ha siglato un’intesa di sicurezza con Israele nel 2022: l’unico patto di difesa tra un Paese del Golfo e gli israeliani. L’accordo comprende cooperazione in materia di intelligence, industria della difesa, forze armate , incluse le esercitazioni militari congiunte. Inoltre, il Bahrein è in trattativa con Israele per l’acquisto di un sistema avanzato per intercettare i droni (C-UAS counter-unmanned aircraft system) e, dal 2023, sta discutendo con Israel Aerospace Industries (IAI) per la fornitura dell’innovativo sistema Scorpius di warfare elettronico, che utilizza onde laser per disturbare sensori elettronici e comunicazioni radar di droni, missili e navi. 

Corridoio Economico a rischio?

Qualora gli Accordi di Abramo dovessero entrare in crisi e l’Arabia Saudita scegliesse di congelare il percorso di normalizzazione con Israele, c’è un progetto che più di tutti ne soffrirebbe. È il Corridoio Economico India-Medio Oriente-Europa (IMEC), appena lanciato nel settembre 2023 al G20 di New Delhi. Il Corridoio, di fatto la risposta statunitense alla Via della Seta cinese, si presenta come un network ferroviario, portuale, di infrastrutture energetiche e cavi (elettrici e di dati) che collegherebbe l’India agli Emirati e all’ Arabia Saudita per congiungersi, tramite la Giordania e Israele, all’Europa meridionale. Un’iniziativa ambiziosa che consentirebbe all’Arabia Saudita di competere con gli Emirati Arabi, fin qui avvantaggiati come hub regionale anche dalla firma degli Accordi di Abramo. 

Un progetto reso possibile dalla normalizzazione tra Emirati e Israele e che salterebbe o vedrebbe assai ridotta la sua portata strategica (basta guardare la mappa) se i sauditi bloccassero i negoziati con gli israeliani. Con la guerra tra Hamas e Israele, il destino del Corridoio diventa incerto: di fronte a un imprevedibile conflitto ancora privo di confini geografici definiti, qualunque ipotesi è ora prematura.

L’unica certezza, al momento, è che gli Accordi di Abramo hanno, in soli tre anni, generato un significativo dinamismo economico, oltreché una consuetudine culturale tra popoli vicini ma differenti. Ed è un primo, concreto indizio per poter scommettere sulla sopravvivenza storica degli accordi di normalizzazione, al di là di questo frangente così cupo.

Tratto da ISPI

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