MEDIO ORIENTE: TRE FRONTI PER L’ESCALATION

La possibile offensiva su Rafah, le violenze dei coloni e lo scontro con l’Iran fanno temere l’escalation. Ma dal Libano alla Cisgiordania il conflitto si è già esteso.

Artiglieria e veicoli corazzati schierati al confine con la Striscia di Gaza e l’acquisto di oltre 40mila tende per prepararsi all’evacuazione dei civili: sono i segnali che le Forze di difesa israeliane (Idf) si starebbero preparando all’offensiva su Rafah, la città dell’estremo sud dell’enclave, a ridosso con in confine egiziano, in cui da mesi centinaia di migliaia di palestinesi sono sfollati in fuga dalla guerra. Lo riferisce il quotidiano israeliano Ma’ariv, secondo cui le truppe sono state messe in allerta dopo che “il principio guida dell’operazione” è stato approvato dallo stato maggiore e dal ministro della difesa da Yoav Gallant. L’Idf, ufficialmente, rifiuta di commentare ma l’ipotesi appare plausibile: dopo aver preannunciato l’attacco per settimane, Israele ha ridispiegato il grosso delle sue forze di terra da Khan Younis, lasciando una divisione a presidiare il Corridoio Netzarim, il cuscinetto che ora divide in due il territorio costiero. E la notte scorsa un raid contro un edificio a Rafah ha provocato la morte di undici persone, tra cui cinque bambini. Il dipartimento di Stato americano ha dichiarato di non essere stato ancora informato in dettaglio sui “piani di evacuazione o sulle considerazioni umanitarie” di Israele riguardo alla potenziale operazione, che comunque non dovrebbe essere avviata prima della Pasqua ebraica che comincia lunedì 22 aprile e termina il 29. Secondo una fonte anonima egiziana citata dal quotidiano Al-Araby Al-Jadeed, edito a Londra, gli Usa avrebbero concordato con Israele il piano per un’azione militare a Rafah, in cambio di un attacco limitato contro l’Iran. Funzionari statunitensi sentiti dal sito Axios negano l’esistenza di un simile accordo, precisando che sono in atto contatti tra Washington e Tel Aviv sull’argomento.

La mediazione sta fallendo?

I preparativi per un’offensiva che l’Alto rappresentante per la politica estera europea Josep Borrell ha definito “una potenziale catastrofe” avvengono in un contesto di stallo dei colloqui di cessate il fuoco e di crescenti tensioni tra Israele e Iran. Oggi il primo ministro e ministro degli Esteri del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman Al Thani, ha annunciato che Doha sta “rivalutando” la sua posizione di mediatore, lamentando “la strumentalizzazione da parte di alcuni politici che stanno cercando di condurre le proprie campagne elettorali attraverso la diffamazione dello Stato del Qatar”. L’annuncio arriva all’indomani dell’accusa mossa all’emirato dal deputato democratico statunitense Steny Hoyer di “schierarsi con Hamas”. In questi lunghi mesi di trattative, comunque, Israele e il gruppo armato palestinese non sono riusciti a trovare un accordo sulle condizioni e sulla durata del cessate il fuoco, né sull’identità e sul numero degli ostaggi israeliani da rilasciare in cambio della liberazione dei palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.

In Cisgiordania regna l’impunità?

La situazione appare esplosiva anche in Cisgiordania, dove la violenza dei coloni israeliani contro i villaggi palestinesi appare ormai fuori controllo. Secondo il ministero della Sanità dell’Autorità palestinese a Ramallah, dal 7 ottobre a oggi i civili palestinesi uccisi nella regione sono oltre 500 e non passa giorno senza che avvengano attacchi contro i villaggi palestinesi nella totale impunità e senza l’intervento delle forze di sicurezza israeliane che pattugliano le strade. I raid comprendono lo sradicamento metodico di uliveti e piantagioni, danni alle fonti idriche, incendi, linciaggi e omicidi con armi da guerra a cui non segue alcuna indagine. Gli episodi si sono moltiplicati dopo il ritrovamento del corpo di un giovane colono di 14enne, la settimana scorsa, ucciso da un colpo di arma da fuoco. Prima e dopo il ritrovamento del cadavere, automobili e abitazioni palestinesi sono state date alle fiamme e decine di residenti sono stati feriti nel villaggio di Al-Mughayyir e in quello di Duma. In un rapporto pubblicato ieri, Human Rights Watch (HRW) denuncia che “l’esercito israeliano ha preso parte o non ha protetto i palestinesi dai violenti attacchi dei coloni in Cisgiordania che hanno sfollato persone da 20 comunità e hanno sradicato completamente almeno sette comunità dal 7 ottobre 2023”. A nulla sembrano essere valse finora le sanzioni europee e statunitensi contro alcuni coloni tra i più violenti, così come le pressioni sul premier Benjamin Netanyahu affinché li controlli, poiché il premier dipende dai loro rappresentanti alla Knesset e nel governo per la sua sopravvivenza politica.

Si infiamma lo scontro con Hezbollah?

La spirale di tensioni non poteva non riaccendere un altro fronte caldo del conflitto, quello tra Israele e il Sud del Libano dove gli scontri a fuoco con Hezbollah sono ripresi con rinnovato vigore. Mercoledì il gruppo militante libanese ha rivendicato un raid con droni e missili nel nord di Israele che, secondo l’esercito israeliano, ha ferito 14 soldati. L’attacco è avvenuto il giorno dopo l’uccisione mirata da parte di Israele di due comandanti Hezbollah. Il riaccendersi delle tensioni lungo il confine settentrionale alimenta la preoccupazione per il rischio di un’escalation che coinvolga nuovamente Teheran dopo l’attacco che la Repubblica Islamica ha condotto contro lo Stato ebraico – una salva di oltre 300 tra missili e droni – nella notte tra sabato e domenica. L’attacco, che l’Iran ha definito una reazione al raid condotto da Israele sull’ambasciata della Repubblica Islamica a Damasco lo scorso 1° aprile, ha portato Europa e Stati Uniti alla decisione di imporre nuove sanzioni contro l’Iran “in solidarietà con Israele”. Sulla vicenda, oggi è tornato il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amirabdollahian, dichiarando che Teheran aveva informato Washington riguardo l’attacco contro Israele prima che avesse luogo.

Tratto da ISPI

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