USA 2024: RIEN NE VA PLUS

Trump in lieve vantaggio negli stati in bilico ma finora la corsa non regala brividi: le elezioni saranno un referendum sul male minore.

Anche se di fatto non sono ancora concluse, le primarie in vista delle elezioni presidenziali di novembre non regalano più alcun brivido. Non che ne avessero regalati finora: Joe Biden, presidente in carica, non ha dovuto affrontare alcuna ‘vera’ concorrenza per la nomination democratica, mentre il suo predecessore, Donald Trump, ha facilmente sbaragliato gli sfidanti di un affollato campo repubblicano, con il risultato che più o meno tutti avevano previsto: nella corsa per la Casa Bianca, quest’anno, i due frontrunners saranno gli stessi del 2020. A regalare qualche brivido però è proprio questo: il fatto che a novembre Donald Trump possa vincere le elezioni e tornare alla Casa Bianca. Uno scenario tutt’altro che scontato, beninteso, ma che neppure si può scartare. Soprattutto alla luce degli ultimi sondaggi secondo cui l’ex presidente è in leggero vantaggio su Biden in sei stati sui sette tra quelli ‘cruciali’ (Arizona, Georgia, Michigan, Nevada, North Carolina, Pennsylvania e Wisconsin), considerati cioè ancora politicamente competitivi in un contesto sempre più polarizzato, in cui il risultato delle elezioni non è determinato dal voto popolare nazionale ma da poche decine di migliaia di elettori in una manciata di stati indecisi. 

I sondaggi mettono un freno alle speranze democratiche che Biden fosse pronto a risalire nei sondaggi dopo un energico discorso sullo stato dell’Unione che ha finalmente riportato in secondo piano le preoccupazioni sull’età del presidente e la sua capacità di ricoprire l’incarico. Nonostante le decine di milioni di dollari spesi dai democratici in pubblicità e un vigoroso programma elettorale negli stati chiave, le rilevazioni indicano infatti che gli elettori hanno un’impressione negativa del suo rendimento lavorativo, della sua resistenza mentale e fisica e – nonostante la crescita dell’occupazione, una spesa pubblica sostenibile e un aumento del PIL migliore del previsto – della sua gestione dell’economia. E il calo dei consensi nei confronti del presidente è particolarmente evidente tra gli elettori neri, ispanici e giovani.

L’aborto infiamma lo scontro

Se Trump detiene un vantaggio sui temi dell’economia, l’inflazione e l’immigrazione, lepreferenze per Biden crescono quando si parla diritto all’aborto, un terreno di battaglia cruciale per la prossima corsa alla presidenza. Pochi giorni fa la Corte Suprema della Florida ha confermato una legge particolarmente restrittiva, che limita l’interruzione di gravidanza alla sesta settimana. La normativa, approvata dal governatore Ron De Santis, entrerà in vigore il primo maggio, cancellando quasi del tutto l’accesso all’aborto nel sud degli Stati Uniti. La Florida, , dove infatti finora era consentito interrompere una gravidanza fino a 15 settimane, era diventata un ‘rifugio’ in un’area del paese in cui molti stati hanno di fatto eliminato la possibilità di interruzione volontaria di gravidanza. In una sentenza parallela, la Corte ha stabilito che in concomitanza con le elezioni presidenziali a novembre, gli abitanti dello stato dovranno votare anche in un referendum sull’inserimento di un emendamento che tuteli il diritto all’aborto nella Costituzione statale. Dopo il ribaltamento della Roe vs Wade nel luglio 2022, l’aborto sarà anche al centro di un altro atteso pronunciamento dell’Alta Corte che dovrà esprimersi sulle modalità di distribuzione e di somministrazione del mifepristone o pillola abortiva RU 486. La salute riproduttiva delle donne è un potente fattore di mobilitazione elettorale e l’interruzione volontaria di gravidanza, sostenuta anche da molte donne repubblicane è stata una delle chiavi della vittoria dei democratici nelle elezioni di metà mandato. Potrebbe diventarlo anche in quelle presidenziali. Finora Trump ha evitato di esprimersi sul tema ma ha anticipato che avrebbe affrontato la questione “la prossima settimana”, esitando ancora una volta a prendere una posizione chiara sulla questione. 

Trump e i suoi processi, a che punto siamo?  

Aprile sarà un mese cruciale per Donald Trump: sono infatti alle porte due importanti appuntamenti giudiziari che potrebbero impattare sull’esito della sua campagna elettorale.   

Il caso Stormy Daniels: si va a processo 

Dopo mesi di attesa, il 15 aprile inizierà il processo che vede l’ex-presidente accusato di aver pagato il silenzio della pornostar Stormy Daniels e l’ex-coniglietta di Playboy Karen McDougal con fondi destinati alla campagna elettorale. Il procedimento – considerato dagli esperti legali il più ‘debole’ tra quelli intentati contro l’ex presidente – sarà probabilmente il primo e unico a tenersi prima del voto di novembre. Se Trump venisse condannato alla detenzione, ipotesi remota visto che è incensurato, e dovesse vincere le elezioni, non potrà concedersi la grazia, dato che si tratta un crimine statale. In questi casi solo il governatore dello stato può concederla.   

Attacco a Capitol Hill: decide la Corte Suprema 

Altro caso sul quale si riaccendono i riflettori nel mese di aprile è quello sull’attacco a Capitol Hill. Il 25 aprile inizieranno infatti le audizioni alla Corte Suprema, che si dovrà pronunciare sulla richiesta di immunità presentata dai legali di Trump. Il ricorso alla Corte congela di fatto il processo che doveva iniziare a marzo. Anche se la richiesta di immunità venisse rifiutata il processo difficilmente inizierebbe prima di novembre, grazie alla “60-day rule”, regola (non scritta) del dipartimento di Giustizia, secondo la quale si evita di condurre azioni investigative in prossimità di elezioni (60 giorni prima) per evitare di influenzare il voto.   

Frode: cauzione pagata, e ora?  

Accusato di aver gonfiato il valore delle sue proprietà per ottenere agevolazioni fiscali, Trump è stato costretto a versare una cauzione da 175 milioni di dollari. Una cifra di molto inferiore rispetto agli originari 454 milioni previsti, e ridotta grazie al ricorso in appello presentato dai suoi avvocati. La somma verrà interamente restituita se Trump venisse scagionato dalle accuse.   
  
Calma apparente per gli altri processi, ovvero quello sui documenti classificati e sul tentativo di sovvertire l’esito del voto in Georgia. Il primo dovrebbe iniziare il 20 maggio, ma molto probabilmente verrà posticipato su richiesta dei legali di Trump. Il secondo invece resta in stand-by in attesa che venga stabilita una data di inizio.

Casa Bianca vs TikTok

Nel mezzo della campagna elettorale, negli Stati Uniti si torna a parlare di TikTok. La  Camera dei Rappresentanti ha imposto a ByteDance, la società cinese proprietaria della piattaforma di cedere le sue attività negli Stati Uniti entro sei mesi se desidera mantenere la presenza nel paese. A preoccupare è la vicinanza al Partito Comunista Cinese che, secondo il governo americano, rende il social network una potenziale minaccia per la sicurezza nazionale: l’app, infatti, potrebbe essere utilizzata da Pechino per raccogliere dati sensibili, diffondere disinformazione e influenzare le elezioni 2024. Il timore è condiviso da Repubblicani e Democratici, ma ciò non ha impedito che anche questa questione diventasse divisiva. Con un’inversione di rotta che ha suscitato non poco clamore Donald Trump, che nel 2020 aveva cercato a sua volta di imporre la vendita di Tiktok, si è opposto all’idea che l’app venisse bandita dal paese. Il tycoon non ha fornito spiegazioni chiare se non per il fatto che il bando avvantaggerebbe Meta, un social network che lui detesta, ma secondo John McLaughlin, sondaggista elettorale di Trump c’è dell’altro: “I giovani sono ossessionati da TikTok e questo è un punto politico rilevante”. Il cambiamento infine potrebbe essere frutto di interessi privati e dell’avvicinamento di Trump al miliardario Jeffrey Yass, detentore del 15% delle azioni di ByteDance: a sostenerlo tra gli altri è Steve Bannon, ex stratega della campagna di Trump e conduttore del podcast “War Room”, che ha accusato Trump di essere influenzato dalla prospettiva dei finanziamenti di Yass. La spiegazione starebbe dunque nel fatto che il candidato repubblicano ha un disperato bisogno di soldi. La sua raccolta fondi arranca e le sue spese legali stanno consumando un’enorme percentuale delle risorse della sua campagna presidenziale. Il Comitato Nazionale Repubblicano, dopo essere stato epurato e dotato di lealisti di area MAGA, si trova ora in una  terribile crisi di liquidità.

Le prossime elezioni costituiscono la prima rivincita elettorale in quasi 70 anni. Molto si è detto a proposito di quello che si preannuncia come un remake del 2020, ma non tutto sarà come quattro anni fa. Questa volta la campagna di Trump alterna ai temi della guerra culturale (gli immigrati che “inquinano il sangue” della nazione americana, la “follia di genere della sinistra”) nuove lamentele contro la magistratura che lo perseguita. Anche il contesto è diverso: la presidenza Biden si è contraddistinta per ingenti politiche industriali e investimenti senza precedenti, ma è stata segnata anche da un’elevata inflazione, e grandi sconvolgimenti all’estero: in Afghanistan, Ucraina e Medio Oriente. E poi ci sono i candidati: entrambi sono più anziani e meno energici di quattro anni fa. Joe Biden ha 81 anni. Donald Trump ne compirà 78 a giugno. “È come se l’America si fosse addormentata e si fosse improvvisamente risvegliata nell’Unione Sovietica di Leonid Brezhnev” ironizza Edward Luce. Vincerà chi sarà in grado di mobilitare più elettori contro l’avversario. Le elezioni non saranno tanto una gara di popolarità quanto un referendum su chi, tra i due, sia il male minore.

Tratto da ISPI

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